Leggi l’articolo su FiscoOggi.it
Respinta la posizione dei giudici di secondo grado che avrebbero escluso l’esistenza di presunti ricavi, avendo erroneamente considerato solo le operazioni in uscita e non quelle in entrata

È valido l’accertamento eseguito nei confronti di un avvocato, che avrebbe occultato dei ricavi facendoli confluire su un conto intestato alla moglie sul quale poteva operare con delega.
È la conclusione della sentenza n. 32427 dell’11 dicembre 2019, con cui la Corte suprema cassa la pronuncia della Ctr che aveva rigettato l’appello delle Entrate contro la sentenza di primo grado.
econdo i giudici di merito, infatti, al contribuente non si potevano addebitare presunti ricavi, in quanto sul conto intestato alla moglie, dove aveva “facoltà di traenza”, erano stati emessi solo assegni firmati dalla stessa coniuge. Su un secondo conto, invece, i movimenti erano tutti riferibili al pagamento del canone di locazione del figlio. Dunque i giudici di merito hanno ritenuto superata la presunzione dell’articolo 32, comma 1, Dpr n. 600/1973, che prevede, a carico del contribuente, l’onere probatorio della non imponibilità delle operazioni.
Contro tale sentenza l’Agenzia delle entrate ricorre in Cassazione.
I giudici di legittimità ricordano la presunzione dei ricavi (articolo 32, comma 1, Dpr n. 600/1973) secondo cui i dati e gli elementi attinenti alle operazioni bancarie sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, in difetto di indicazione del beneficiario o in assenza di annotazione nelle scritture, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto ai fini dichiarativi. Dunque l’accertamento al contribuente eseguito dall’Ufficio era legittimo.
In tema di onere probatorio, inoltre, rileva la Suprema corte, il contribuente è tenuto a dimostrare che i movimenti bancari non riguardano operazioni imponibili. In particolare, sui versamenti eseguiti sul conto corrente bancario del professionista o del lavoratore autonomo vige la presunzione legale (articolo 32, Dpr n. 600/1973), secondo cui tali operazioni devono essere imputate a ricavi conseguiti come libero professionista o lavoratore autonomo, vista la cancellazione dell’equiparazione tra attività imprenditoriale e professionale, in tema di prelievi sui conti correnti, stabilita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 228/2014.
Tale prova non deve essere generica bensì analitica, deve cioè essere fornita per ciascuna movimentazione bancaria in modo da rendere evidente l’estraneità dei movimenti all’imposizione (vedi anche Cassazione, sentenze n. 18081/2010, n. 22179/23008, n. 26018/2014). Inoltre, tale principio si applica, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come il rapporto di stretta contiguità familiare tra il contribuente ed i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica, anche alle movimentazioni effettuate su questi ultimi, poiché in tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei familiari debbano, in difetto di specifiche e analitiche dimostrazioni contrarie, ascriversi allo stesso contribuente sottoposto a verifica. Il giudice di merito, a sua volta, è tenuto a verificare rigorosamente tutte le operazioni oggetto di accertamento, iter che, a parere della Corte, non è stato seguito. La Ctr, infatti, nel caso in esame, avrebbe preso in considerazione solo i movimenti in uscita, cioè il pagamento dell’affitto di una casa locata al figlio del contribuente e assegni firmati dalla moglie, titolare del conto, e non anche quelli in entrata, riferibili ai presunti ricavi in nero.
Tale prova, rileva la Cassazione, riguarda anche le movimentazioni effettuate dai parenti cointestatari dei conti correnti sottoposti a verifica, dove il rapporto di parentela rende molto probabile un’eventuale connessione e inerenza delle somme transitate, con il reddito del contribuente, salvo prova contraria (vedi anche Cassazione n. 27075/2017).
In conseguenza delle suesposte valutazioni, la Cassazione accoglie i motivi di ricorso dell’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia il caso all’esame della competente Commissione tributaria regionale.